LA TRAMA:
Alento è un borgo abbandonato che sembra rincorrere l’oblio, e che non vede l’ora di scomparire. Il paesaggio d’intorno frana ma, soprattutto, franano le anime dei fantasmi corporali che Estella, la protagonista di questo intenso e struggente romanzo, cerca di tenere in vita con disperato accudimento, realizzando la più difficile delle utopie: far coincidere la follia con la morale. Voci, dialoghi, storie di un mondo chiuso dove la ricchezza e la miseria sono impastate con la stessa terra nera. Capricci, ferocie, crudeltà, memorie e colpe di un paese di “nati morti” che si tormenta nella sua più greve contraddizione: voler essere strappato alla terra pur essendone il frutto. Cade la terra è un romanzo che acceca con la sua limpida luce gli occhi assonnati dei morti: sembra la luce del tribunale della storia, ma è soltanto il pietoso tentativo di curare le ferite di un mondo di “vinti”, anime solitarie a cui non si riesce a dire addio perché la letteratura, per Carmen Pellegrino, coincide con la loro stessa lingua nutrita di “cibi grossolani”. Seppellirli per sempre significherebbe rimanere muti. Ma c’è orgoglio e dignità in queste voci, soprattutto femminili. Tornano in mente le migliori pagine di Mario La Cava, Corrado Alvaro e Silvio D’Arzo: prose appenniniche pietrose ed evocative, come di pianto ricacciato in gola, la presa d’atto dell’impossibilità d’ogni epica.
LA MIA OPINIONE:
Questo romanzo è una lettura insolita, sorprendente, così lontana dalle mode e dai gusti letterari del momento da sembrare del tutto fuori dal tempo e dallo spazio. In fondo, credo che questo sia proprio il senso più profondo del libro: non esiste un tempo ben definito, nettamente stratificato in "passato-presente-futuro", ma piuttosto un continuum dato dal passato che infesta il presente e che, inevitabilmente, lancia le sue ombre sull'avvenire. Carmen Pellegrino teorizza l'abbandonologia, parola che ho imparato ad amare, e lo fa attraverso personaggi che non sono in grado di comunicare tra di loro, che abitano il passato e il presente sfiorandosi come fantasmi senza mai riuscire a comprendersi, a prendersi. La voce narrante, quella di Estella (nome profondamente dickensiano), è imponente, ingombrante. E' la voce di una persona che, annaspando nella propria solitudine, ha bisogno di nutrirsi del dolore degli altri per poter trovare una via di fuga dalla propria sofferenza. Al suo fianco, sfuggente, c'è Marcello, enigmatico contraltare di Estella, il ragazzo che non riusciva ad accettare la diversità culturale e sociale degli altri ed era magro e pallido come un malato. Il romanzo si snoda tra passato e presente ricostruendo, volta per volta, dolorosi cammei della vita degli altri fino a formare il quadro completo di Alento, il paese fantasma costantemente minacciato dalla frana. Cade la terra non è semplicemente un titolo, ma anche la metafora dello sgretolarsi del tempo nel tempo, della caducità della vita del mondo, dell'inevitabile crollare delle certezze precostituite. Consiglio questo romanzo a chi ha bisogno di una lettura diversa, intensa, profonda. Questo non è il solito libro, e già questo dovrebbe spingervi immediatamente a leggerlo.
voto: ****/5
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