martedì 29 novembre 2011 | By: Unknown

iris van herpen.

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and death shall have no dominion.

grazie a Hilarius Bogbinder per la segnalazione :)

Misery - Recensione.

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"Gli scrittori ricordano tutto, Paul. Specialmente quello che fa male. Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e saprà raccontarti la storia di ciascuna di esse, anche della più piccola. E dalle più grandi avrai romanzi, non amnesie. Un briciolo di talento è un buon sostegno, se si vuol diventare scrittori, ma l'unico autentico requisito è la capacità di ricordare la storia di ciascuna cicatrice. L'arte consiste nella perseveranza del ricordo."

(Misery, Stephen King 1987)


Partiamo da un presupposto: Stephen King dovrebbe smetterla di scrivere stronzate metafisiche alla "L'acchiappasogni" e dovrebbe ricominciare a scrivere roba "seria" (per citare il suo personaggio Paul Sheldon). Perchè questo Misery è davvero roba seria. Bene. Detto questo, possiamo iniziare.

Paul Sheldon è uno scrittore che si barcamena quotidianamente tra alcool, sigarette e donne, guadagnando una marea di soldi grazie al successo della sua serie di romanzi dedicati a Misery, eroina ottocentesca di stampo Harmony. Paul, in realtà, sa benissimo che tutti i libri della serie sono libri "popolari" che non gli permetteranno mai di sfruttare fino in fondo il suo talento di scrittore e per questo motivo, senza nascondere un brivido di soddisfazione, decide di far morire la celeberrima Misery alla fine dell'ultimo volume della serie. Quella strega odiosa è finalmente schiattata, esulta Paul. Testuale.

Insomma, Misery è bell'e defunta, e il giovane Paul si lancia con entusiasmo nella stesura di un nuovo romanzo, Bolidi, estraneo alla serie "Misery" e assolutamente non commerciale. Il giorno in cui termina Bolidi, Paul si scola una o due bottiglie (non ricordo) di Dom Perignon, s'infila nella sua auto, parte a razzo e...SBAM! contro un albero. Perfetto. Ironia della sorte vuole che, proprio al momento dell'incidente, la pazza schizofrenica malata di mente ossessivo-compulsiva Annie Wilkes passi di lì, riconosca in Paul Sheldon il suo scrittore preferito, se lo carichi in macchina e lo porti via con sé, a casa sua. Da questo momento, ha inizio l'Inferno. Annie non ha nessuna intenzione di lasciar andare Paul il quale, con due gambe rotte e con un bel po' di droga in corpo, somministratagli quotidianamente dalla vecchia megera, non può assolutamente ribellarsi. La situazione si complica quando Annie, "ammiratrice numero uno" di Paul ma soprattutto ammiratrice di quella stronza di Misery, giunge alle ultime pagine dell'ultimo volume della serie, venendo così a sapere della terribile morte del suo personaggio preferito. A questo punto, obbliga Paul a far resuscitare Misery, smettendo di somministrargli le medicine per le gambe (o meglio, la droga) e comportandosi come una pazza maniaca estremamente pericolosa. Paul è costretto a far risorgere il personaggio che ha maggiormente detestato nella sua carriera di scrittore e, come scoprirà ben presto, il suo nuovo libro lo trasformerà in Sherazade. Quando il romanzo sarà terminato, quando Annie sarà finalmente stanca di Misery...allora, che ne sarà di Paul? Quante speranze di vita gli resteranno, quando sarà diventato inutile? E così Paul scrive, scrive, scrive...dietro l'ultima pagina del suo stesso manoscritto, la Morte lo attende. Anche se...

...anche se niente, il resto leggetevelo voi. in ogni caso, è davvero un bel romanzo. Non all'altezza de Il miglio verde, senza dubbio, ma è comunque un grande libro. Il vecchio Stephen impiega con maestria la tecnica della "mise-en-abime" (lett. "messa in profondità". in poche parole povere: il romanzo nel romanzo) e ci troviamo quasi di fronte a una versione revisionata, corretta e "orrorificata" de I falsari di André Gide. Abbiamo il narratore primo, che è Stephen, e il narratore secondo, che è Paul. Abbiamo il libro primo, che è Misery, e il libro secondo, Il ritorno di Misery, ovvero il libro che Paul sta scrivendo per quella psicopatica di Annie. E Annie, come King ripete spesso nel corso della storia, non è altro che l'incarnazione del "pubblico". Annie è IL PUBBLICO": come tutti i "lettori assidui", è affamata di storie e non gliene frega niente della qualità di un testo letterario, no, lei vuole storie da consumare, divorare, mandar giù come tutti i dolci di cui fa razzia nei suoi momenti di depressione. E Paul Sheldon, chiuso a chiave nella camera degli ospiti di Annie Wilkes, è LO SCRITTORE, il povero scrittore che, come il poeta di Baudelaire, è un albatro che con le sue grandi ali non riesce a camminare sulla Terra e viene deriso. Chi minchia se ne frega del talento, della bravura, delle riflessioni di uno scrittore? ma va' là, dammi un Tremetrisoprailcielo da consumare in mezz'ora ed è finita. Stephen King, con questo romanzo, mette a nudo la condizione disperata dello scrittore contemporaneo, nonchè la condizione altrettanto disperata della Letteratura, ridotta ad un prodotto bello e confezionato da vendere all'ipercoop accanto alle marmellate. e hai ragione, caro vecchio Steph. Hai davvero ragione.

il mio voto: * * * */5
lunedì 28 novembre 2011 | By: Unknown

L'assenza - Racconto.

Non può essere ti sei sbagliata o forse mi sono sbagliato io, non ti ho vista, io, non eri tu, io, ho sbagliato, non può. Non può. La verità è quello che siamo sempre stati, noi siamo la verità. Io e te, il più grande spettacolo dopo il Big Bang come in quella canzone di Jovanotti che abbiamo ascoltato insieme e io pensavo che fosse per me, per me, ma perché, dimmi, perché? Dimmi che non l’hai visto bene, che hai sbagliato persona. Quello è Antonio, Antonio che quando eravamo bambini ci prendeva in giro e rideva di noi, Antonio che neanche sapevo esistesse più dopo allora, Antonio, io me l’ero proprio scordato, Antonio, mica ci credevo che era vivo e che era vivo in te per te. Per te? L’ho riconosciuto, Antonio, sai? Non posso essermi sbagliato, lo so, adesso, lo so. Quella camminata strana...ma l’hai visto come cammina? Ti sei fatta scopare da uno che cammina così? E io che pensavo, io che speravo sogni che tu non hai sperato mai. La tua bellezza, adesso, è in tutti gli specchi in cui non ho il coraggio di rincorrermi. Rincorrerti, piuttosto, correre sempre e per sempre dietro la tua ombra che diventa fumo, il fumo delle tue dieci cento mille sigarette. E adesso capisco! I tuoi pacchetti da dieci che prima duravano un mese e adesso durano due giorni, perché fumi con lui, vero? vi dividete le sigarette, vi dividete le labbra, la pelle, ma io non voglio, cazzo, non voglio neanche immaginare. Le tue labbra avevano il mio sapore, ancora, non lo sentivi mentre baciavi lui? Io ci sono sempre stato, lui no. Io sono qui da dieci anni, non te ne sei accorta? E lui? Quando l’hai rivisto? Perché non me l’hai detto? Lui era amico mio prima di essere amico tuo. Amico! E’ mai stato tuo amico? Era con me che giocava a biglie per strada. Era con me che litigava. Tu con chi litigavi? Con me, con me, sempre con me. Tutti i nostri giorni insieme. Mi hai preso per il culo per dieci anni, tu. Tu che ascoltavi la tua musica con me, tutta quella musica folk di merda che non te l’ho detto mai ma sembrava proprio le canzoni che cantava mia nonna quando stendeva le lenzuola sul terrazzo, e quando facevi la colta intellettualoide, dio mio che nervi, tu con tutti quei libri che ti uscivano dal culo e pretendevi anche di farli leggere a me, che a me i libri hanno sempre fatto saltare i nervi per quanto sono pieni di stronzate. I libri! E dire che quando hai pubblicato quella cosa pallosissima che hai scritto, io, io, io ti ho fatto pubblicità! Mica Antonio, sai? Antonio non sa neanche che hai scritto un libro. Neanche sa che scrivi, in generale. Che poi, mi dici che cazzo scrivi? Me li ricordo, sai?, tutti quei raccontini da mezza pagina che scrivevi perché tanto non riuscivi a buttare giù un altro rigo manco a strizzarti con lo spremiagrumi. Non ti è mai piaciuto scrivere, ma ti glori tanto a dire in giro “io vivo per scrivere e scrivo per vivere”. Per cosa cazzo vivi, tu, con quei capelli che ti arrivano sotto il culo e quegli occhietti sciapi che ricopri di matita nera per sembrare più figa, tu, fricchettona che ascolta l’irish folk e il power metal, che fino a ieri neanche sapevi che cazzo volesse dire. Per non parlare di quando metti su tutta quella palla di Mendelssohn, ma dico io, Mendelssohn! Ma tra tutti i compositori, perché non ti sei scelta un Liszt, un Beethoven, un Chopin? Ah già, perché tu sei diversa. E ti piace l’arte contemporanea, che se io metto uno sgabello in mezzo a una stanza e ci scrivo sotto “sgabello” tu dici “E’ l’opera più emozionante che io abbia mai visto”. Ma davvero? E piangi quando vedi un quadro di Hopper, e a me fa schifo Hopper, sai? Non fa altro che dipingere culi che si intravedono dalle finestre e stazioni e tramonti che si spengono dietro i tralicci della corrente elettrica.
Eri elettricità.
Sì, tu, proprio tu, che non stavi ferma mai. Dimmi cosa hai trovato in lui. Cosa c’è dentro di lui, dimmelo. Lui, con quella voce che sembra tanto quella di Voldemort, hai presente?, il cattivo di Harry Potter. Lui che cammina tutto storto, lui con le spalle curve e con quel naso che sembra l’Appennino tosco-emiliano, ma tu dimmi, che cazzo ci hai trovato in lui? Ma io lo so. Tu non ci hai trovato proprio niente. Ma niente. Solo che ti sei innamorata di lui. E fa male, cazzo, fa male ammetterlo, ma lo ami. E non gliel’hai mai detto, e forse non l’hai mai detto neanche a te stessa, ma lo ami. L’amore. L’amore che non so neanche cos’è eppure lo vedo in me, per te, e in te, per lui. Questo amore che ci lega, così come siamo, io te e lui, e l’uno ignaro dell’amore dell’altro. E’ disgustosa, questa vita che si prende gioco di noi fino alla fine, fino in fondo. Fino a farci male.

Spero che tu abbia tutta la felicità che non condivideremo mai. Che lui sia per te l’incertezza dei tuoi giorni, il pericolo, il timore, la perdita. Spero che lui sia tutto il dubbio che meriti, perché è nel dubbio che si ama senza assuefarsi mai. E che lui non ti dica mai di tagliarti i capelli, e che ti faccia ascoltare ancora quelle canzoni, e che ti tocchi dove io manco. Perché manco, e mancherò. E’ l’assenza, adesso, la mia presenza in te.
domenica 27 novembre 2011 | By: Unknown

Sunday 27.

On air: Handel - Passacaglia in sol minore (dalla Suite n.7)

wish list:
  • La scena perduta - Abraham B. Yehoshua
Photobucket Yak Moses è un regista, ormai anziano, invitato a Santiago per una retrospettiva sul suo lavoro. Lo accompagna Ruth, l'attrice protagonista di molti suoi film con la quale ha un rapporto un po' fuori dagli schemi (lui la definisce "compagna", all'occasione "amante", ma più che altro "personaggio"). Nella stanza dell'albergo c'è la riproduzione di un quadro: una versione fiamminga del celebre tema iconologico della "carità romana" in cui la giovane Pero allatta il padre Cimone, chiuso in carcere e condannato a morire di fame. Il dipinto turba profondamente Moses perché gli ricorda una scena simile che sarebbe dovuta apparire in uno dei suoi primi film. Ruth, però, si rifiutò di girarla: l'avallo di Moses alla decisione dell'attrice causò la loro rottura con lo sceneggiatore, Shaul Trigano, la mente creativa dietro ai loro successi cinematografici (e all'epoca compagno della donna). A scuotere ulteriormente Moses c'è la scoperta che dietro l'organizzazione di quella rassegna c'è proprio Trigano, che presto li raggiungerà. Se il ritorno dello sceneggiatore ed ex amico sarà l'occasione per un'estrema, tardiva riconciliazione, la ricomposizione di un'unità artistica, oppure l'ennesimo scontro di una guerra senza fine, è una domanda a cui può rispondere solo un autore come Abraham Yehoshua.

  • Malone muore - Samuel Beckett
Photobucket "Ciò che rende maggiormente giustizia al vivace Malone - scrive Gabriele Frasca nella prefazione - è la domanda: com'è possibile che il cosiddetto "uomo medio" non si riconosca nei tronconi umani messi in scena da Beckett?". Malone è lasciato solo, nudo nel letto. Trema un po', vede e sente malissimo, non può muoversi da lì. E si dice: "L'essenziale è alimentarsi ed eliminare, se si vuole resistere". Aspetta di morire, e nell'attesa tenta di ordinare i pensieri ma è un continuo cavillare: non sa decidersi se passare il tempo che gli resta inventando storie o facendo l'inventario delle cose che possiede. Intermedio tra Molloy e L'innominabile, Malone è l'evoluzione di tutti i personaggi delle opere di Beckett e quando muore se li porta dietro all'unisono, compreso l'autore e la sua vena letteraria. Tanto che gli occorrerà un anno per tornare alla narrativa (ma prima scriverà Aspettando Godof). Malone muore è la transizione dal romanzo tradizionale a quello "beckettiano". E, come conclude Frasca nella prefazione, "Malone muore, alla fine del libro, e noi con lui; ma si risorge tutti".

  • Amber - Kathleen Winsor
Photobucket Nel 1944 un romanzo, ambientato esattamente tre secoli prima, precisamente nell’Inghilterra del 1644, scosse la società americana. Il romanzo fu vietato in 14 stati americani per i suoi numerosi riferimenti a rapporti sessuali, gravidanze illegittime, aborti ecc. Nella forma di un romanzo storico, camuffato da romanzo d’appendice, camuffato a sua volta da romance, si raccontava la storia di un’eroina, Amber St Clare, orfana abbandonata di nobili natali, che non esita a usare la sua bellezza e il suo fascino per farsi largo in un mondo a lei estraneo. Quello che infastidiva soprattutto i puritani giudici americani degli anni Quaranta, e la Chiesa cattolica che la bollò di indecenza, era che Amber St Clare rompeva gli schemi dell’eroina dei romanzi d’appendice, in trepida attesa del principe azzurro, per delineare l’inaspettato ritratto di una donna intraprendente, spregiudicata che non esita a fare libero uso della sua sessualità e della sua astuzia per raggiungere i suoi scopi. Che cosa è, infatti, una donna che, nell’Inghilterra del Seicento in cui infuria la guerra civile, viene abbandonata appena neonata e adottata da una famiglia di contadini; a sedici anni rifiuta di sposare un contadino e fugge a Londra dopo aver conosciuto in una locanda Bruce Carlton, un militare di nobili origini di cui si innamora e dal quale ha un figlio; finisce in carcere, dove incontra il bandito Black Jack che la prende sotto la sua protezione e le insegna a rubare; diviene l’amante di un ufficiale che la fa assumere come attrice da una compagnia teatrale, dove alcuni nobili e persino Re Carlo II rimangono affascinati dalla sua bellezza; sposa Radcliffe, un nobile che le offre finalmente la posizione cui lei aspira; rimane vedova e diventa l’amante del re; vive a corte insieme al bambino, il figlio suo e di Bruce; viene scacciata dal re e decide di seguire Bruce Carlton in America, terra di avventura e di nuovi orizzonti?

  • Sessantanove - Cinzia Bomoll
Photobucket Torino, 20 luglio 1969. Rosa si aggira per le strade di una città deserta, nella notte in cui gli occhi di tutti sono puntati sulla diretta tv di Tito Stagno. È un senso di estraneità al mondo che la spinge a vagare sul filo dei suoi pensieri di anima sradicata. Ha solo quindici anni ed è scappata da un piccolo paese del sud per lasciarsi alle spalle un brutto scandalo. La notte dello sbarco sulla Luna, Rosa incontra Corrado, un giovane fascista che sta per consolidare le sue ambizioni di ricchezza: a breve, infatti, sposerà Olimpia, la figlia di uno dei più potenti industriali piemontesi. La passione istantanea che lega Rosa e Corrado è frutto del contrasto: per il giovane dal "cuore nero", che vive ossessivamente il suo ideale di onore, quella ragazza ignorante e sbandata che è Rosa, esercita un'attrazione irresistibile con cui sporcare voluttuosamente il suo rapporto con Olimpia. Ma niente è come sembra in questo romanzo che oltre a mettere in scena la storia di due ragazzi in fuga dai propri traumi, offre un affresco del nostro Paese in un periodo particolarmente intenso della sua vita.

  • Hotel du lac - Anita Brookner
Photobucket Edith Hope è una scrittrice di narrativa romantica che ha sempre cercato di preservare la sua personalità schiva e, a un tempo, fiduciosa. Possiede una casa, paga le tasse, consegna i suoi dattiloscritti molto prima della scadenza, non si vanta del suo rango. È, insomma, una donna seria e con una certa esperienza, e tanti suoi amici, soprattutto quelli che rilevano la sua straordinaria rassomiglianza fisica con Virginia Woolf, lo sanno. Eppure Edith non ha potuto evitare il malaugurato evento che l'ha condotta a un temporaneo esilio nelle stanze dell'Hotel du Lac, il dignitoso albergo svizzero dove benestanti e discreti e rispettati clienti si rifugiano credendo di vivere un'altra e più nobile epoca del turismo. A un passo dall'altare dove Geoffrey Long, un uomo cortese e altrettanto assennato, l'aspettava per metterle al dito l'anello che le avrebbe offerto un'appagante vita coniugale e lussi che lei, non più tanto giovane, non avrebbe mai potuto pensare di concedersi, Edith è scappata. Un gesto da ragazzina sconsiderata per Penelope e la sua cerchia di amici più intimi. Un gesto inevitabile per lei. Autrice di ardenti storie d'amore e amante clandestina di David, un uomo sposato, Edith sa che struggersi per qualche straordinaria prova d'amore, per una grande passione, per un amore al quale si può volentieri sacrificare tutto, è qualcosa che lascia dolorosamente soli e incapaci di prendere altre vie. La fuga da Londra e il soggiorno nell'austero albergo sul lago in mezzo a malinconici cipressi non sono, tuttavia, soltanto una meritata punizione. Sono anche un'occasione per riprendersi la propria libertà e riassaporare il gusto di osservare il prossimo con occhio da scrittrice. Nel vetusto albergo non mancano, infatti, personaggi interessanti: innanzi tutto, la signora Pusey e la figlia Jennifer, donne che offrono l'opportunità di sperimentare con piacere il contatto con una specie aliena, perché nel loro felice desiderio di conquistarsi la simpatia di tutti Edith percepisce un'avidità, una grossolanità, un ardore a lei del tutto ignoti; poi il signor Neville, un uomo garbato, elegante col suo panama e la giacca di lino, e un volto settecentesco, fine, discreto, con labbra ben modellate e una sfumatura azzurrina di barba appena visibile sotto la pelle dal colorito sano. Un uomo probabilmente spietato, e per questo... appropriato.

  • Mildred Pierce - James M. Cain
Photobucket Nel 1941, subito dopo essersi affermato, il noir rivolse le sue armi contro se stesso – con questo libro, che alla ferocia del genere assomma quella, anche più implacabile, del mélo. Fino alla sua uscita, le dark lady di innumerevoli romanzi (e di altrettanti film) usavano la seduzione per condurre qualsiasi maschio capitasse loro a tiro a forme di distruzione spesso molto peggiori della morte. Ma qui Cain – che di quelle storie aveva già scritto uno degli archetipi più potenti e imitati, Il postino suona sempre due volte – va molto oltre. Con le sue letali sorelle Mildred Pierce ha in comune il carattere, la capacità di andare dritta allo scopo – peraltro rispettabile, e cioè raggiungere un qualche benessere, nell’America della Grande Depressione – e un fondato scetticismo nei confronti del genere maschile. Sul quale infatti trionfa, salendo uno alla volta tutti i gradini di un successo insperato, per una casalinga californiana malamente abbandonata dal marito. E in effetti niente sembrerebbe poter fermare l’ascesa di Mildred: niente, se non la sua immagine rovesciata, sua figlia Deva, la creatura forse più demoniaca di tutta la narrativa nera.

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sabato 26 novembre 2011 | By: Unknown

Dreamin' about...(5)

(dark bride)


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La beauté

"Bellezza, mostro enorme di spavento e ingenuità!
Cosa importa, in fondo, che tu venga dal cielo o dall'inferno?
Il tuo occhio, il tuo sorriso, il tuo piede aprono la porta
di un Infinito che amo e non ho mai conosciuto."

(Inno alla bellezza, Baudelaire)



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venerdì 25 novembre 2011 | By: Unknown

After silence.

Fear.

Ho paura
Ho paura di restare solo
Ho paura del mondo
Ho paura di essere diverso
Ho paura di essere lo stesso
Ho paura di essere troppo
Ho paura di non essere niente
Ho paura del confronto
Ho paura dell’indifferenza
Ho paura di essere qui in questo momento
Ho paura di non essere da nessuna parte
Ho paura di non vedere niente
Non provare niente
Non sentire niente
Ho paura di non lasciare un segno
Ho il terrore di non innamorarmi più
Ho il terrore di innamorarmi ancora
Ho paura di dimenticare
Ho paura di essere dimenticato
Ho il terrore di non abbracciare più
Di non fare più l’amore
Ma solo scopare
Ho il terrore di soffrire
Il terrore di infliggere dolore
Il terrore di andarmene
Ho il terrore di morire triste
Il terrore di morire prima di mia madre
Il terrore di morire prima di mio padre
Il terrore di non trovare l’ispirazione
Di non avere più gli occhi che brillano
Ho il terrore che il cuore mi si prosciughi
Ma la cosa che più mi terrorizza, in assoluto, è non essere amato
.

(Dave St-Pierre)
giovedì 24 novembre 2011 | By: Unknown

Dreamin' about...(4)

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and it's so hard to see you clearly.

On air: Coldplay - A message

Ti dono questi versi e se il mio nome,
vascello favorito da un grande aquilone,
approderà felicemente in epoche future
e farà sognare a sera i cervelli umani,

il ricordo di te, simile a incerte favole,
stanchi il lettore come un timpano
e resti appesa alle mie rime altere
con un fraterno e mistico anello di catena,

essere maledetto, a cui nulla risponde,
oltre me, dal profondo abisso al vertice del cielo!
- Tu, ombra dalla traccia effimera! Tu che calpesti

con piede lieve e serena nello sguardo
gli stupidi mortali che amara ti ritennero!
Statua dagli occhi neri! Grande angelo dalla bronzea fronte!

(I fiori del male, Charles Baudelaire)




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