E non riesco a studiare. C'è un'estate che mi preme sulle spalle e voglio indossarla, senza Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, da sola con tutti i romanzi che amo leggere anche se spesso, poi, fanno schifo. Voglio un'estate piena di oli essenziali e di incenso e poesie lette su una scrivania molto ordinata e le sigarette alla collinetta dove andavo con un ex di molte vite fa, quando ancora non c'erano i cani, e leggere tonnellate di romanzi. Sto leggendo tantissimo ma non dovrei perché gli esami mi stanno sul collo come un ragno caduto dal lucernario, ma io voglio leggere, leggere e non fermarmi. E vivere tanto.
Immagino un tavolino di bar. Immagino di essere in una bella città, forse Bologna, sotto i portici. Sì, è Bologna, vedo le scale del parco e la fontana. Mi sono laureata moltissimo tempo fa, ho con me un manoscritto di non so chi, di qualche sconosciuto dal precario italiano, c'è una grammatica strana che galleggia sull'orlo della pagina. Il sole. Ho una giacca bianca e, sotto, una camicia a pois. I capelli raccolti in uno chignon. O forse ho un vestito nero, ma lo chignon rimane. Prendo appunti a bordo pagina e macchio di caffè il bozzolo inerme di letteratura altrui. Ma letteratura è una parola grande che fa tremare le colonne del porticato. Poi faccio un giro e spreco energie e brilla il sole tra le piante grasse nelle vetrine dei fiorai. Cammino per le strade di Bologna e non piove ancora ma potrebbe; c'è odore di zolfo che forse viene da un mio inferno interiore, qualcosa di concreto tra i versi di Dante che ho imparato a memoria, e ho questi tacchi che mi si incastrano nei tombini e nelle fessure delle strade ed è un po' come l'inizio di Melancholia di Lars von Trier: la stessa lentezza.
Ma guardo fuori della finestra ed è ancora Bari ed io con i miei libri da studiare, la polvere dentro il pianoforte, un retrogusto di yogurt alla pesca e crostini alle olive. Dovrei ritrovare quei vecchi occhiali da sole a forma di cuore se non fosse che non è estate, ancora. Non per me, almeno.
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