Ho sentito mia madre parlare al telefono con mia sorella. Le diceva che la felicità non esiste, che si può essere sereni, al massimo, ma non felici. Erano le stesse, identiche parole che pensavo prima di te. Serena, ma non felice. Tranquilla. Tutto a posto, niente in ordine, tutto liscio come l’olio. Ma sono stronzate. Si può essere felici. E forse non lo sarò per sempre, d’accordo, ma lo sono adesso. Con te. Non mi ero sbagliata sul tuo conto, quando ero seduta dietro di te ad armonia e non mi appartenevi per niente e guardavo le vene gonfiarti i polsi e pensavo
Tu sei uno che vive come un gioco, sei una persona nata libera e rimasta bambina, e io mi sto innamorando di te per questo.
Mi sono innamorata di te per questo. Per le domande sceme che facevi al professore di armonia e qualcuno rideva e ridevo pure io senza capire i tuoi perché. Per il tuo orrendo maglione a righe viola e grigie e per le foto dei tuoi gatti su Facebook. Io ti amo e sono felice e la felicità è una cosa semplice, una cosa che ti capita e basta e non devi stare a pensarci troppo su. Mamma dice che si può essere sereni, ma non felici. Io sono felice e forse non serena, perché tu sei un uragano, perché metti il disordine dentro le cose, ma chi se ne frega della serenità? Sai quant’è noiosa, la serenità? Svegliarti la mattina ed essere sicura che l’altro sarà ancora lì, che ti vorrà bene per sempre come un padre, che avrà il tepore di uno scaldaletto e non la fiamma dell’amante, che ti guarderà ciondolare in ciabatte da qui o da lì con i bigodini in testa e farà pipì con te. Io non la voglio, la serenità. Mi piace svegliarmi con Hanna Montana e le pastarelle nel latte e chiedermi se mi vorrai ancora, e il dubbio, e la paura di chi ti guarda negli occhi troppo a lungo, la gelosia e il tormento quotidiani, le domande, l’angoscia. Non voglio sapere quanto mi ami, dimmelo raramente perché non lo voglio sapere. Non voglio essere assolutamente certa della tua presenza al mio fianco quanto lo sarei di una madre o di un fratello. Voglio viverti sul filo del rasoio fino a quando non cadrai, o non cadrò io, o non cadremo entrambi, insieme, con lo stesso ritmo, spaccando il secondo. Perché la felicità sei tu che mi scivoli dalle dita, tu che ci sei e poi scompari, il tuo riflesso dentro le pozzanghere che il sole asciugherà domani o che rimarranno lì, se verrà la pioggia, ancora.