Sono giorni diversi, questi. Giorni in cui mi rendo conto di aver dimenticato per così tanto tempo quello che sono che adesso, quando improvvisamente mi riscopro durante un illuminante corso universitario, mi cado addosso come un fulmine e dico: eccomi, ero qui. Qui dove? Qui, a spendere le ore aspettando lo squittio di whatsapp, il messaggio dell'amore di turno, l'amore, il turno. Aspettare. Ho scritto un libro che s'intitola Waiting room ed era proprio lì che ero: in sala d'attesa. E poi viene lui, cariatide universitaria con la F di Jovanotti e i capelli bianchi. Da lì, dalla cattedra lontana, parla di D'Annunzio e Pascoli e Pirandello, la differenza tra modernismo e futurismo, il metamorfismo panico nella
Pioggia nel pineto, Gozzano che rifiuta di cogliere il quadrifoglio, Graziella de
Le due strade, ed io. Io. Improvvisamente ci sono, mi riaccendo e mi ricordo: ecco, era qui che dovevo essere. Qui. L'unica stupida che prende appunti, l'unica che non si lima le unghie, che non messaggia, non chatta, quello dopo, quello a casa. Adesso aspetta un attimo, ci sono. Sono tornata. Ho degli interessi, delle passioni, un potenziale, carte da giocare. Giochiamo al mercante in fiera. Punto su me, sulle poesie che conosco a memoria, sulla metrica latina, sui libri, i monumenti, Bari, la curva infinita e perduta del lungomare e nel mare il tramonto, e io sono sempre stata qui. Non mi vedevo, ma ero qui. Chi stavo aspettando? Perché non ho mai scritto quel saggio breve che ho sempre avuto in mente? Le mie idee. Non le ho mai usate davvero.
Ascolta, ascolta. Quel verbo reiterato nella
Pioggia nel pineto. Ascolta. Dov'eri? E adesso che mi guardo allo specchio con gli occhi sbavati nella matita nera penso: bentornata. Saltellando tra le pagine di Virginia Woolf, matitone fucsia e pilot nera, appunti, post-it. Bentornata. Ho tanto da dire, da scrivere, da urlare in Georgia 12 su un documento word.
"E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta". Perché non sono solo quella che legge i manoscritti, le opere con i refusi, gli orrori letterari, e scovo ogni tanto qualche perla tra i porci. Non posso essere
solo questo. Guarino Veronese, umanista e docente, scriveva ai suoi alunni che siamo come dei vasi: se il vaso viene riempito di unguenti che puzzano, anch'esso arriverà a puzzare. Noi siamo così. Dobbiamo riempirci di bellezza per farci belli. E sapete perfettamente di quale bellezza sto parlando.
4 commenti:
Per gli scrittori è qualcosa di ordinario vagare con la mente altrove, a volte così a lungo da dimenticarsi di casa nostra, di noi. E quando ritroviamo la via di casa, rientriamo in "casa", l'effetto è proprio questo. Ritrovare la consapevolezza di sé non è cosa da tutti e quando capita assomiglia davvero a un fulmine, a un secchio d'acqua che ti casca sulla testa e ti sveglia di colpo. Alcune volte è talmente improvviso che non riusciamo neanche a capire cosa ci accade in quell'istante. Ed è quasi impossibile da descrivere. Il fatto che tu, Bianca, ci sia riuscita così bene la dice lunga sulla tua bravura (per me non è una sorpresa, anzi...) :)
Ben ritrovata :)
a volte bisogna perdersi per potersi poi ritrovare... o forse anche solo stare "immobili" per un po'! è sempre un grande piacere leggerti
un abbraccio sincero
Mirko sei troppo gentile *.* sai che ti voglio bene sì? :) Camilla e Sandra grazie! "era ora", aggiungo io :P sono stata "spenta" per così tanto tempo che adesso ho davvero il mondo da recuperare. Ci proverò ;)
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